venerdì 18 luglio 2014

Come vive un Hikikomori. L'esempio del film "Castaway on the moon"


Castaway on the moon (2009), film coreano di Hae-jun Lee, narra la storia di Kim Seung-geun, un impiegato rovinosamente in crisi dal punto di vista economico e sentimentale, che arriva a considerare il suicidio come unica via per la risoluzione dei suoi dilemmi interiori. Nel tentativo di utilizzare a suo vantaggio la sua incapacità nel nuoto, si getta da un ponte di Seul nel fiume Han, fortunatamente senza riuscire a togliersi la vita. Approdato goffamente su di un isolotto abbandonato poco distante dalla città, Mr Kim rimane, stavolta suo malgrado, vittima della sua stessa mancata abilità a nuotare, di fatto ritrovandosi a dover sopravvivere su quel piccolo lembo di terra dal quale non può allontanarsi. La mancanza di mezzi tecnologici e di linee telefoniche, lo costringerà ad attendere l'eventuale e casuale attenzione di qualcuno dall'altra parte dell'isolotto, in grado di riportarlo nel caos della società cosiddetta civilizzata. Riecheggiando la trama del celeberrimo "Cast Away" con Tom Hanks, il film mostra la drammatica condizione di un uomo, che nella sua tenera fragilità cerca con forza di vincere la natura, la fame e la solitudine nell'estremo tentativo di riconquistare quella condizione socio-economica medio-borghese da cui tanto rifuggiva. 
E' a questo punto della narrazione che si inserisce il personaggio della seconda protagonista del film, la giovane Hikikomori Kim Jung-yeon, che casualmente dalla sua camera intercetta, grazie ad una reflex, il naufrago sull'isoletta. La descrizione del modus vivendi della ragazza appare fin da subito egregiamente interpretata e consente di comprendere le logiche sottostanti alla volontaria reclusione. Kim vive nella sua stanza, rifiutando il contatto con qualunque essere umano, madre compresa. Unico contatto col mondo esterno è rappresentato da Internet e dalla sua macchina fotografica, attraverso la quale osserva il mondo circostante, curandosi bene dall'esserne parte attiva e partecipe. La giovane riesce ad avventurarsi fuori, non senza forti attacchi di ansia e solamente con l'ausilio di un casco integrale che le consente di mantenere inaccessibile una parte di sè rispetto ad un mondo altamente competitivo e tendente all'omologazione continua ed ossessiva di tutti i suoi abitanti. 
L'osservazione da parte della giovane Hikikomori dell'impiegato-naufrago è fonte di positiva eccitazione e la stranezza di tale condizione umana, la incita ad inviare un messaggio attraverso una bottiglia gettata nel fiume. Inizia così una "corrispondenza d'amorosi sensi" tra i due, in un via-vai continuo di concisi messaggi che donerà il coraggio ad entrambi di affrontare i propri fantasmi interiori e le avversità cui sono soggetti. Quando però una tempesta di pioggia e vento spazza letteralmente via tutto ciò che Mr Kim era medio tempore riuscito a costruirsi per non soccombere, l'idillio viene bruscamente interrotto. I soccorsi giungono sull'isolotto traendo in salvo il naufrago contro la sua volontà. Scambiandolo per un senzatetto, lo abbandonano però ai margini di una strada, lasciandolo nella disperazione più profonda. Mr Kim, ancora smarrito e sconcertato per la consapevolezza di non sapere dove poter cercare la giovane che gli aveva rasserenato le giornate di cui si era segretamente invaghito, sale sull'autobus che lo avrebbe ricondotto alla sua vecchia monotona vita.
Kim Jung-yeon, avendo osservato dalla sua stanza il recupero del suo amato naufrago e consapevole anch'essa della possibilità di non rivederlo più, si lancia quasi istintivamente in una corsa sfrenata lungo le trafficate strade di Seul nel tentativo di rivelarsi fisicamente all'uomo che ama. L'immagine della porta spalancata di quella stanza chiusa da anni e della intensa luce bianca che penetra in essa a seguito del gesto della giovane, dona grande speranza e sollievo allo spettatore accorto, che lungi dal soffermarsi sul roseo epilogo del film, in cui i due si incontrano, si concentra sul significato recondito ed ancestrale delle umane paure, in grado a volte di segregare le più brillanti intelligenze e le menti più creative in una prigione di specchi dalla quale non sembra facile uscire, dimenticandosi il più delle volte di un'importante ed imponente verità: "in natura esiste la paura, non il coraggio, che altro non è che la paura vinta" - cit. Giorgio Nardone.

Giustina Iadecola


Il trailer italiano del film 




mercoledì 16 gennaio 2013

Sul settimanale "GENTE" pubblicato un articolo sul fenomeno Hikikomori


E' uscito in questi giorni un articolo sul settimanale "GENTE" inerente il devastante fenomeno dell'autoreclusione volontaria. La giornalista Anna Maria D'Alessandro analizza in breve, ma da diversi punti di vista la sindrome, intervistando alcuni tra i più importanti studiosi di calibro nazionale che hanno affrontato la scottante tematica di amara attualità. Ecco quindi il parere del pediatra Alberto Ferrando, esperto della versione italiana della sindrome e quello dell'antropologa Carla Ricci, attualmente afferente all'Università di Tokyo. Interessanti spunti di riflessione provengono anche da quanto affermato dagli psicoterapeuti Antonio Piotti e Matteo Lancini del centro Minotauro di Milano, diretto dal celebre psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet. Infine, tenuto in considerazione il punto di vista di una giovane blogger - Giustina Iadecola -  (io!!!!!!!!), vengono evidenziati alcuni libri ed alcuni centri di aiuto per aiutare ed informare la collettività sul tipo di sindrome e su come è possibile affrontarla. Vi rimando alla lettura dell'articolo, presente a questo link.

Giustina

Immagine tratta da: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMBzvB_gOyoRNS5NG3IrjwMiNxk_dmjw7BZoseU9sCC15zGXcIF2_QXLX1EzbCobejTer56sXcLFlvuWI2rqzUhAxV-fMBZQ4NyTGFDOg2MujN83kYb6gz7l0pOhtqLXoZKpakTo79Ogo/s1600/2010.08.23+Hikikomori+Church.jpg

lunedì 19 novembre 2012

Cosa c'entra la scuola con gli Hikikomori?


"L'idea mi venne quando un amico mi regalò un bonsai, un albero nano, e mi disse: <<In questo Paese fanno lo stesso con gli esseri umani: a forza di potarli e tagliarli li fanno crescere tutti su misura>>" - tratto da In Asia, di Tiziano Terzani

Immagine tratta da: 
http://www.bonsaiempire.it/images/stories/Shohin-Bonsai1.JPG

In effetti l'immagine del bonsai, connessa alla sua etimologia, ben rende il concetto di "piccole foche ammaestrate" sui cui Terzani si concentra in un capitolo del suo libro "In Asia". La parola giapponese "bonsai" infatti, consta di due ideogrammi il cui primo (bon) significa contenitore mentre il secondo (sai), è riferito al concetto dell'educare, del coltivare. Il seishi, ossia l'arte di dare una forma è legata alla tecnica bonsai e deve essere seguita rigorosamente e scrupolosamente, al fine di ottenere un eccellente risultato finale: un bonsai perfetto, per forma, dimensioni e colori. 
Anche il sistema scolastico giapponese segue delle ferree regole prestabilite in vista dell'obiettivo finale: il successo lavorativo e l'ascesa sociale che permette ai nipponici di possedere un'identità sociale prima, e individuale poi. E' per questo che non appare esagerato paragonare il sistema scolastico del Sol Levante ad una grande ed efficiente fabbrica che, per dirla con le parole dello scritto Shuichi Kato, "riesce a trasformare piccoli esseri umani in tante foche ammaestrate". 
Essendo plasmato sulle esigenze industriali del Paese, il sistema formativo nipponico conduce inevitabilmente alla sostanziale equivalenza fra istruzione ed educazione. Ad ogni livello del sistema infatti, i valori impartiti  ai giovani allievi sono compatibili con le logiche aziendali e le competenze e le abilità che vengono stimolate nei ragazzi rientrano nel quadro generale della performance, nell’interesse delle aziende nipponiche. Nella società giapponese dunque il binomio pedagogia e lavoro si sviluppa fortemente a favore di quest’ultimo, in quanto il sistema axiologico di riferimento predilige le prestazioni, l’efficienza, l’obbedienza e il rispetto assoluto delle istituzioni e di chi le incarna, come nel caso del maestro (sensei) il quale possiede anche obblighi morali nei confronti dell’allievo e gode di un significativo rispetto sociale. L’allievo viene formato sin dalla tenera età a raggiungere obiettivi di eccellenza, a curare i dettagli, ad essere meticoloso e perfezionista, così che, una volta introdotto nel sistema lavorativo, egli possa dare il meglio di sé. Le istituzioni famigliari, uniformate alla cultura della performance, orientano i figli verso obiettivi di eccellenza, portandoli a scegliere le migliori istituzioni formative e ad investire molte ore del loro tempo negli studi in vista di futuri benefici connessi all’ascesa sociale e alla carriera, sottovalutando gli usuali episodi di bullismo cui sono sottoposti abitualmente i bambini. Di rado i genitori intervengono contro questo tipo deliberato e gratuito di abuso e gli stessi educatori ritengono che tali episodi siano necessari per lo sviluppo di capacità utili alla formazione delle relazioni gerarchiche necessarie per raggiungere il successo.
Questa convinzione potrebbe scaturire  dal valore semantico attribuito al termine ‘uguaglianza’; i nipponici ritengono infatti  che sia corretto possedere pensieri e valori identici, razionalizzando quindi atti vessativi nei confronti dell’individuo che devia rispetto a tale ideologia. Ma le vessazioni divengono spesso la prima causa di abbandono scolastico da parte del bambino che può quindi sviluppare Hikikomori. Ciò nonostante, il bullismo per i giapponesi è considerato “un mezzo per modificare un comportamento, uno strumento per costringere l’individuo ad accettare la logica del gruppo”, come sostiene Zielenziger, nel suo libro "Non voglio più vivere alla luce del sole".
Da quanto sopra detto, è possibile dedurre come i giovani nipponici subiscano delle pressioni specifiche sin dall’infanzia e sviluppino atteggiamenti competitivi, assertivi, perfezionistici, che talora si scontrano con caratteri e strutture di personalità non competitive, generando disagio, senso di inadeguatezza: la decisione di isolarsi dal mondo esterno può essere dunque influenzata dall’assenza in capo al soggetto di idonee risorse personali per fronteggiare l’ansia da prestazione e gli stress che in generale sono causati dal sistema formativo.


domenica 18 novembre 2012

Hikikomori nei forum, blog, manga, romanzi, film

La Rete pullula di gruppi, forum e blog riferiti al fenomeno degli Hikikomori. Sono "luoghi" dove i giovani in volontaria reclusione si ritrovano per discutere non solo del proprio disagio, ma anche di altro, nel tentativo di mantenere viva l'inconscia ed ancestrale necessità dell'uomo di relazionarsi col mondo esterno, quello stesso mondo che genera al contempo repulsione ed angoscia.
Navigando ho trovato anche romanzi, film e manga che trattano del fenomeno. Inserisco di seguito alcuni link e/o riferimenti che ho trovato interessanti:



  • "Rozen maiden" - manga
  • "Death Note" - anime e manga
  • "aoi tou" (La torre blu) di Katsumi Sakaguchi - film
  • Sayonara Zetsubo sensei - manga, anime
  • "hikikomori" di Gianluca Olmastroni - film
  • “Welcome to the NHK” - romanzo, anime ed anche manga
  • "Luther" - serie TV inglese
  • "Castaway on the moon" - film
  • "Bakuman" - manga
  • “Un' ombra oltre il muro”, di Patrice Kindl - romanzo
  • "Kuragehime" - manga, anime
  • "Hikikomori, la lenta agonia del progresso" - film
  • “Tokyo Plastic” - film
  • “Perfect Girl Evolution” - anime
  • "Jigoku shojo" - serie TV
  • "Tobira no Muko" (Left handed) - film
  • “Install”, di Wataya Risa - romanzo





domenica 3 ottobre 2010

Di cosa si tratta

"Hikikomori" è un termine utilizzato per designare una particolare piaga sociale marcatamente giapponese, che vede oltre un milione di adolescenti e giovani adulti (14-30 anni) autorecludersi nella propria stanza per periodi di tempo molto lunghi, mostrando segni di letargia ed incomunicabilità con l'esterno, come sostiene Saito Tamaki, psichiatra nipponico che per primo utilizzò tale termine.
Il fenomeno viene studiato da differenti punti di vista. In particolare ci si approccia ad Hikikomori dall'angolazione sociologica e da quella psicopatologica.
Secondo la visione sociologica, l'Hikikomori si configura come una sindrome da adattamento (e non come una malattia) ad un sistema nomico che esalta l'omologazione, il perfezionismo e la cultura della performance, prediligendo la collettività all'individualismo ed al pensiero critico. L'influenza della dottrina confuciana inoltre, contribuisce ad esaltare questa visione dell'uomo e del suo agire che appare ontologicamente ed imprescindibilmente connesso ad una visione interattiva e socializzata, al punto che l‟essere individuo è sublimato nell‟essere parte di un tutto, che sia famiglia o società.
Le psicopatologie che possono intervenire nei soggetti che sviluppano Hikikomori, si configurano come conseguenza all'isolamento, concepito come unica via di salvezza rispetto a sistemi valoriali differenti da quelli tradizionali. I soggetti che scelgono di autorecludersi infatti appaiono come delle persone estremamente creative ed intelligenti, ma con una visione del mondo differente da quella della maggioranza dei giapponesi che non si discostano di molto dalle imposizioni di una cultura tradizionale che comincia a cozzare contro una società ormai in continua evoluzione. L'Associazione New Start, attraverso un approccio detto di slow communication, accompagna i giovani verso un lento ma progressivo ritorno alla socialità, avvalendosi dell'apporto delle Sorelle Maggiori in Affitto (Rental Onesan), generalmente giovani donne che tentano di avvicinarsi all'oscuro e silenzioso mondo degli hikikomori ed alle loro inaccessibili stanze buie.

Gli psichiatri dal canto loro, curano i giovani in ritiro attraverso tecniche diverse. La psicoterapia e il supporto farmacologico ad essa, risultano gli approcci maggiormente utilizzati, a volte tramite l'ausilio dell'ospedalizzazione. Associato a fobia sociale, sindrome di Aspenger, depressione ed altre patologie psicologiche, l'Hikikomori non sembra trovare collocazione all'interno del Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders (DSM IV-TR). Tali individui sembrano soffrire di una particolare disfunzione cognitiva che qualificherebbe l‟hikikomori come disturbo psichiatrico a se stante e quindi da inserire nell‟ancora inedito DSM V. Inoltre, gli studiosi ritengono sia utile la comprensione delle eventuali disfunzionalità delle relazioni familiari, nonché di altri disturbi mentali diagnosticabili.

In ordine a questo fenomeno sarebbe comunque auspicabile il ricorso ad una massiccia sensibilizzazione del corpo docente e delle famiglie nonché l‟inserimento negli istituti scolastici di psicologi professionisti, al fine di poter prevenire l‟insorgenza di tale fenomeno, tipicamente nipponico, ma talvolta percepito anche a livello transculturale.